Il piano regolatore del bisogno
Racconto da sfogliare, clicca nell'immagine sopra riportata. In alternativa puoi leggere il racconto scorrendo la pagina.
Il piano regolatore del bisogno
Ho visto le impressioni dilatarsi
ti ho guardata con occhi trasversali
quando hai smentito
i tuoi figli prediletti
gettando germogli
in terre altrui
come foglie vermiglie
disperse nel vento autunnale
ti ho guardata con occhi trasversali
quando hai smentito
i tuoi figli prediletti
gettando germogli
in terre altrui
come foglie vermiglie
disperse nel vento autunnale
Lancio in versi sciolti questa città sviluppata nei sobborghi del pensiero, proiettata al futuro incerto dei suoi giovani abitanti.
Mi improvviso urbanista dell’ignoto, dietro gli angoli del grande contenitore.
Batto passi felpati e la immagino… entro nella periferia della coscienza, attingo a piene mani nel frullato delle emozioni per un nuovo piano regolatore del bisogno.
La città è un lungo processo mentale, un viaggio a ritroso , tramandato ai posteri, un prodotto macinato della civiltà e dell’inciviltà.
Un rimasuglio del lavoro sudato e del divertimento organizzato … una città da bere , liquida al punto giusto , solidificata, infine, sublimata nel giro di venti anni tra buchi di rifiuti sotterrati.
Ora è un vivere in 3D… tridimensionali fortune ci attendono, pervasi da una bella sensazione, la mancanza di tempo. Contributo decisivo affinché lo spazio vuoto nella voragine venga riempito dall’attività , dalla velocità d’esecuzione; sublimiamo le incertezze producendo la fiera dell’inutile per sentirci utili ed attivi … un passatempo, il valore del prodotto ci eguaglia, il mercato dei sentimenti in movimento. L’arcaico ma efficacie collegamento tra l’idea ed il percepire lo andiamo a rintracciare, lo prendiamo nel conto corrente delle verità nascoste …
Eppure, noi siamo i figli di queste città, nelle memorie tramandate dai padri che hanno raccontato la terra e la polvere , poi, il getto di cemento , il betume, le ciminiere ed i turni in fabbrica, ci hanno raccontato qualcosa del vissuto , anche la guerra e le sirene ammonitrici di pillole cadenti in città addormentate. Ci hanno lasciato intendere, per vincolo di sangue, quello che può esser fatto e quel che si deve fare, il magico equilibrio per impastare la miscela con gli ingredienti adatti a procurarsi il pane onestamente. Ora nel grande forno cittadino gettiamo la miscela dell’impasto in periferia, con la forza lavoro importata, ma non chiamata, in quel luogo dove tutto si sfrangia …. si poteva prevedere l’invasione? …Gli sbarchi di poveri disgraziati che pagano il burrascoso viaggio in barcone come fosse una crociera di gran lusso … di sicuro la manovalanza non mancherà nella nostra città.
Dopo la bella sbornia industriale, ci misuriamo con la riconversione. Ci misuriamo o la subiamo? Spiegatemi bene, spiegate ai disoccupati che cosa è la riconversione …
Regole dure, mica roba da fighetti, chi non capisce, chi le comprende e non si adatta, chi subisce il rigetto, chi lotta e combatte battaglie solitarie, chi si lascia trasportare dalle amarezze, chi pianta l’ago nella vena, chi trasforma il bisogno inappagato in desiderio sfrenato sotto lampioni indefiniti.
Il popolo nelle osterie di Joyce, la città delle betole fumose, nascoste in vicoli improbabili è ormai un retaggio raccontato … inutile improvvisarci colonnelli decorati di ricordi, la città ha bisogno di orizzonte non di vanità ormai anacronistiche, né di ulteriori tendenze con gusto futuristico , metallo a servizio del cemento armato… dinamismo, dinamismo … vorticismo espresso all’esponente, sviluppo verticale e schizzi di potenza naufragata. Così si forma la subtopia, figlia dell’utopia e nipote della speranza mal riposta, nelle sue espressioni intercambiabili, altro che concretezza.
Fra i bisognosi ci sono sempre i nuovi adepti, gli scaltri, quelli che hanno capito come gira il mondo antiorario … ci vuole una buona dose di energia per sovvertire il senso di rotazione della terra.
Non è il caso di vivere e poi leggere qualche libro in più, di educarci criticamente ?
Il libraio non aveva tutti i torti!
Ho un ricordo non preciso ma deciso di un episodio abbastanza remoto, legato ad un documento televisivo. Una ragazzina costretta a sopravvivere nel degrado di un contesto suburbano fatto di lamiere e fogna circolante, un inferno di colori spezzettati e sbiaditi, tendenti al grigio esteso dell’immondizia. Unico spiraglio , il respiro per appartarsi in un luogo sereno, un rigagnolo di acqua, sopra il quale, a lato, si pronunciano declivi limitati coperti dall’erba. Il colore e l’odore regala l’idea di sollievo, i sensi danno contatto concreto con la speranza. L’acida descrizione di una squallida realtà è intercalata con il ricordo soffice di quei momenti, parentesi distensiva nella quale si rigenera la speranza ( quella giusta ), elemento potenziale e risorsa latente di chi intuisce l’associazione profonda, ma diretta fra la sofferenza e la reazione. La ricerca percettiva dello spazio nutre l’idea …Ecco, le fondamenta della città ideale!
Gli alberi, l’ acqua, il sole e l’ ombra., le forme plastiche ed i colori , gli elementi vitali, ci servono per dare la dimensione differenziata ed aperta agli spazi urbani, l’erba diventa letto per sdraiarci , elemento fisico , spunto dal quale nasce il desiderio di contatto umano. Pensare questo come metafora iniziale, struttura di realizzazione, da qui si parte nuovamente , si riorganizza il futuro incerto.
Allora si sviluppa il resoconto di storie raccontate in angoli di vita, quando il bivio delle scelte e delle necessità impone l’espressione, l’arte di sopravvivere si mescola con le miscele colorate dei pittori, i rumori vengono mutati in suoni e quest’ultimi in idee, si sentono nuove frequenze … Qualcuno ci avvisò per ammonire contro gli “ ammassamenti innaturali “ privi di luce e di verde, dove costruire case significa “ lasciar entrare la natura per far uscire degli uomini “ ( Wright ).
Ma non tutto può diventare dogma, bisogna misurarsi con la realtà, dobbiamo concedere ed acquistare spazio alla raccolta differenziata dei pensieri, perché ora siamo tutti ecologisti un poco snob, per astratto , per il gusto dell’idea, ma l’ambiente sta dentro le persone anche nella concretezza e nel contrasto. Nulla si improvvisa, quando si è sommersi in acque torbide, l’unione fa la forza, un poco post-tecnologica, un poco educata, un poco selvaggia e primitiva, questa è la città che si trasforma in senso critico, in piano organico, un metodo ed un limite preciso alle scelte … ma aperti con la mente, il resto è rivendicazione … anche se bisogna dirlo, non è poco.
Le masse cittadine si stanno rendendo conto, col senno di poi, e spesso con le fatiche di pochi altri previdenti e coraggiosi , dell’importanza di prevenire collettivamente.
Il peculiare carattere italiano del e sul “ particolare “ può andare in pensione non retribuita, ha preservato la famiglia. Ma la bella famigliola dove vive? …
Ora le genti cittadine parlano di acqua, di vento , di energia rinnovabile e compatibile , finalmente hanno intravisto l’interesse, non solo quello tangibile , visibile, ma quello nascosto dietro gli angoli retti di palazzi da smussare. La storia ed il futuro si confondono in nuove realtà. Alcuni sognano una Selinunte moderna, altri vaneggiano una Asso ( antica città dell’Asia minore ) dove la filosofia sostituisca la politica.
Così, l’Agorà diventa la metafora che sta ad indicare il luogo delle assemblee.
Il Forum è l’affascinante testimonianza, lo spazio virtuale per discutere di argomenti di pubblico interesse, una piazza computerizzata, sostitutiva, efficace ed incisiva, ma riduttiva allo stesso tempo. Rispolveri più che legittimi di antiche aspirazioni in divenire, sintomatici del bisogno di un nuovo piano regolatore.Libraio, forse un giorno avrai ancora la tua patria città e non dovrai emigrare, magari ad Amsterdam od a Lione. Potrai leggere ad alta voce in queste città post-moderne e ricche di servizi preparate dal tempo con nuovi micro-chip.
In quei luoghi i cittadini trovano il tempo per riflettere con i grandi classici, ed anche grazie a loro progettano il futuro.
Dai che chiudo il macinato di impressioni con un tipo competente, il suo nome è Gino l’architetto, gran maestro del progetto. Associato all’accademia dei trasformati, ordinato nei pensieri, un individuo abbastanza informale ed aperto ai cambiamenti … un vero riformista.
Scambia parecchie informazioni, integra opinioni, raccoglie suggerimenti dagli urbanisti, prende spunto dai letterati, smista rime di qua e di là. Alcune comprate a Roma, stazione termini prosastici, quel che rimane, con gran sollecitudine le porta in blocco nella periferia di Udine.
Con lui sono tutti artisti, i muratori energici creatori, gli artigiani non si sentono mai vani, i meccanici estraggono accenti ritmici dai pistoni, i militari fanno le parate con le preposizioni articolate, i dentisti estraggono radici all’ennesima potenza … esclusivamente quadrate… e così via dicendo, perché tutti in quel luogo del costruire percepiscono il valore dell’idea.
Assieme a Gino è possibile scorgere un pescatore con la penna, un commerciante con l’incudine, un fabbro con la falce e lo scrittore con il metro preso in prestito da Gino l’architetto per la misura del verso di questa città… ma solo per andare a capo.
Assicuro personalmente per il professionista; egli non ha utilizzato alcun traslato nel caos organizzato di questa tangenziale, voleva solo mettere il cartello, attenti al madrigale!
Nel pericolo automobilistico ha urtato qualche distico , per sfuggir alla tensione ha intonato una canzone, ma è arrivato un grande mezzo articolato con trasporto di sillabe incorporate … nel rimorchio solo poche memorie letterarie.
Si è formato grande ingorgo, causa prima? … quel segnale originale!
Non vi dico quali apostrofi son seguiti, un grande inno d’imprecazioni si è alzato con potenza sovraumana, una corale e qualche assolo: basta strofe sparpagliate e sillogismi in doppia fila.
Ma all’improvviso con decisa svirgolata Gino libera la cintura … quella urbana … con Sua delega epistolare e senza spunti di domanda apre una parentesi di flusso circolare con lo spazio per sloggiare.
Circolare, circolare, direzione Selinunte, sempre dritti, mai paura, state attenti alle cesure e andate tutti a verseggiare…
Tra sonetti concordanti si dileguano i motori …finalmente il gran maestro del progetto può andare a riposare, molto stanco ma felice, concludendo in allegria questa lunga allegoria, senza ulteriore elocuzione, o peggio ancora, esclamazione!
P.S. I vigili sono stati urbanizzati dal fratello di Gino.
Dario Guadagnini
Racconto scritto nel giugno 2010 per la sesta proposta di scrittura del forum www.inpunta di penna.itincipit:
da " Il libraio di Selinunte " di Roberto Vecchioni Questa città non si chiama [ Selinunte ], anzi, non si chiama proprio.
Iscriviti a:
Post (Atom)